
Parigi 3 luglio 1971: Jim Morrison muore in circostanze mai chiarite. Il suo corpo senza vita viene ritrovato nella vasca da bagno del suo appartamento in Rue Beautrellis 17. Il decesso viene attribuito ad un arresto cardiaco e si ritiene così non necessaria alcuna autopsia.
Jim Morrison viene sepolto in fretta e in furia all’interno del cimitero di Père-Lachaise, accompagnato da una cerimonia semplice alla quale partecipano la sua fidanzata storica Pamela Courson, Bill Siddons, Agnes Varda e altre quattro o cinque persone.
Lui, che era tanto amato e tanto famoso, scomparve così, privo di clamori e manifestazioni di affetto. Si evitarono in questo modo l’assalto dei fan e dei media. Rimase tutto talmente privato che la notizia ufficiale della morte venne data diversi giorni dopo negli Stati Uniti e poi diffusa a livello mondiale.
Il leader dei Doors si è poi riscattato nel tempo, dato che ad oggi la sua tomba è forse una delle più visitate al mondo. Per anni i fan hanno portato fiori, messaggi, disegnato graffiti e in molte occasioni i rimanenti membri dei Doors si sono recati sul luogo lanciando incontri ed eventi per ricordare il loro amico.
Ma cosa fecero Ray Manzarek, John Densmore e Robby Krieger dopo aver perso Jim, il loro carismatico frontman?
La perdita fu notevole dal momento che Jim non era solo un cantante, ma era un poeta maledetto, un creatore di mode, uno stile di vita: Jim Morrison è ritenuto ormai un personaggio storico e tutto il suo essere ha finito per influenzare intere generazioni.
Intanto bisogna dire che gli ultimi tempi prima della morte di Jim erano diventati difficili per la band. Così come narra John nella sua autobiografia, “Riders On The Storm”, i Doors accettano di smettere di fare tour, a seguito del disastroso concerto svoltosi a New Orleans il 12 dicembre 1970, in cui Jim non riusciva neppure a cantare.
Jim era ormai diventato ingestibile, spesso in preda all’ alcol, votato all’ autodistruzione e naturalmente si cominciava a temere per la sua vita.
Ricorda John:
“Jim era un uomo incredibilmente sfrenato, il Re Lucertola, ma aveva anche un lato molto vulnerabile e una dolcezza che la gente non conosceva”.
E continua:
“È caduto nella trappola dell’alcolismo. Al tempo non sapevamo niente di questa malattia e non c’erano cliniche per disintossicarsi. Era una situazione dolorosa, sapevo che c’era un problema ma non riuscivo a definirlo. Resta il ricordo della sua musica, un dono che mi riempie la vita da allora”.
Certo nessun poteva immaginare che Jim sarebbe morto in poco più di sette mesi dal ritiro dalle scene e, come molti altri vicini a Jim, anche John è tra coloro che ancora vivono con il rimorso di non essere stati in grado di salvarlo.
Tuttavia, non essendo avvenuto subito un vero e proprio scioglimento, Ray, John e Robby decisero di continuare a tenere in piedi la band.
Pubblicarono altri tre album: “Other Voices” ,(1971), “Full Circle” (1972) e “An American Prayer” (1978).
“Other Voices” venne molto più apprezzato di “Full Circle”, quest’ ultimo infatti non fu molto capito, perché più vicino al jazz e quindi percepito come un album di nicchia.
Dopo questa pubblicazione, come spesso accade, i membri del gruppo si separarono nell’intento di intraprendere carriere soliste.
“An American Prayer” fu realizzato più tardi, nel novembre del 1978. Ray, John e Robby si riunirono per la registrazione di questo album, realizzato sovrapponendo la voce di Jim, tratta da una registrazione perlopiù di poesie da lui declamate nel 1970 su musiche composte per l’occasione.
L’album ebbe un notevole successo e l’alto numero di vendite fece aggiudicare il disco d’ oro e il disco di platino ai tre musicisti.
Dopo lo scioglimento della band, ufficializzato nel 1973, Ray pubblicò nel 1974 un album da solista “The Golden Scarab” e in seguito lavorò ad un riadattamento dei Carmina Burana di Carl Orff.
Collaborò poi con Iggy Pop, considerandolo per un momento come un possibile alternativo sostituto di Jim, ma poi non se ne fece nulla.
La maggior soddisfazione artistica dopo i Doors avviene negli anni ’80, quando Ray produce due band entrate poi nella storia della musica: il gruppo punk rock statunitense X e la band new wave britannica Echo & The Bunnymen.
Oltre ad altri progetti musicali, Ray pubblicò anche dei libri: l’autobiografia “Light My Fire, La mia vita con i Doors” (1998), “The poet in Exile” (2001) romanzo fantasioso dedicato a Jim, che alimentò l’ ipotesi che questi abbia falsificato la sua morte, e il romanzo “Snake Moon” (2006).
Nel 2002, insieme a Robby, formò il gruppo reunion The Doors of the 21st Century, con Ian Astbury, cantante dei Cult, Angelo Barbera al basso e Stewart Copeland alla batteria, poi sostituito da Ty Dennis. Nel 2005, come conseguenza di una causa intentata da John Densmore per aver utilizzato il nome dei Doors senza il suo consenso, la band fu ribattezzata Riders On The Storm. Ebbe vita breve, in quanto Astbury si ritirò per tornare con i Cult.
Sfortunatamente il 20 maggio 2013 un brutto cancro al dotto biliare si portò via Ray. Morì a 74 anni, all’ospedale di Rosenheim in Germania, dove era in cura già da tempo.
Non prima del febbraio 2016, per onorare la sua memoria, John e Robby organizzarono un concerto tributo con la partecipazione di altri artisti.
Quanto a Robby, avventura a parte con Ray dei già citati The Doors of the 21st Century, è stato davvero un musicista instancabile, partecipando a svariati progetti musicali. Date le sue straordinarie doti di chitarrista, possiamo dire che Robby dopo i Doors sia diventato una specie di Jeff Beck statunitense. Con John produsse la band Comfortable Chair e formò il gruppo The Butts Band toccando diversi generi: dal rock al jazz, fino al reagge. Pubblicò anche album da solista dedicati al genere fusion. Questa carriera solista lo portò nel 1985 a collaborare con gli ex membri dei Mothers of Invention di Zappa, in studio e dal vivo, attività che continua tutt’oggi. Il disco “Robby Krieger” di quell’ anno è un esempio di virtuosismo del genere. Dal 1990 per alcuni anni fu in tour con Eric Burdon.
Nel 2011 ottenne la nomination ai Grammy Award per il suo album “Singularity” del 2010.
Il rapporto di John con Jim fu spesso conflittuale, forse anche più che con Ray e Robby. Come gli altri membri della band, John non partecipò al funerale di Jim e impiegò almeno tre anni prima di fare visita alla sua tomba.
In una famosa intervista con The Guardian, qualche anno fa disse:
“Ho impiegato anni a perdonare Jim e ora mi manca moltissimo per la sua abilità artistica”
E ancora:
“Lo odiavo? No, odiavo la sua autodistruzione… Era un kamikaze che se n’è andato a 27 anni. Cosa posso dire?”
E da tutto questo odio/amore, John ha scritto una bella autobiografia, come dicevamo “Riders One The Storm: My life with Jim Morrison and The Doors”.
In effetti dopo lo scioglimento dei Doors per John si aprì un nuovo capitolo artistico, che aveva poco a che fare con la carriera di batterista.
Infatti ben presto John scoprì di avere talento nella scrittura e nella recitazione, avvicinandosi così al mondo del teatro e del cinema più che a quello della musica.
All’inizio degli anni ottanta mise in scena a New York il monologo “Skins”, ottenendo un discreto successo. Durante ed in seguito al suo impegno con il teatro, ha partecipato ad altri progetti cinematografici collaborando con Oliver Stone al film “The Doors” del 1991.
John, al contrario degli altri ex Doors, non ha mai voluto formare una vera e propria band, anche se sono ancora vivissime in lui le doti di ottimo batterista minimalista, per le quali è stato poi definito più un musicista jazz che rock.
Ad ogni buona occasione, in tutti questi anni dopo i Doors, Ray, John e Robby hanno organizzato brevi reunion, emozionando ancora il pubblico. Seppure Jim non è più tra noi, il suo spirito rivive ancora attraverso il canto appassionato di altri artisti, che si sono prestati al suo posto ed in suo onore e che lo hanno amato e lo amano ancora. Se oggi si dovesse organizzare un concerto tributo, siamo certe sarebbe lunghissima la fila di artisti premurosi di offrire il proprio contributo ad una band che è stata per loro un mentore. Sarà pur vero che la morte è la fine di un ciclo, ma la musica sopravvivrà sempre.